Napoli si gioca il poker scudetto
Però, mica era un pivellino quel panterone! Cinque scudetti sul campo, ma solo tre nella personalissima bacheca: hai visto mai! E Gargano poi: ventitrè anni e già due titoli, uruguayani precoce il giovanotto. Campioni si nasce, oppure si diventa, e il problema pareva proprio quello: qui nessuno era nato campione, chi poteva mai diventarlo!
Panteroni e zanzare di metà campo, un loco di qua e un mastino di là: alla fine, i conti tornavano e gli allori pure, dunque si poteva cominciare. Come ti cambio il Napoli, come te lo arricchisco, come te lo addobbo, come te lo adorno: il bignamino di luglio era lì, in quelle quattro mosse per dare sostanza a una squadra che in B aveva avuto un ruolo ma che in A rischiava d’infilarsi in un tunnel con una problematica via d’uscita.
Com’è t’erudisco il Napoli e l’aiuto a crescere: quattro acquisti per sistemar la squadra, equilibrarla, però dandole un peso, sistemandole qualche medaglietta al petto, facendola crescere nella testa, laddove non c’era sufficiente esperienza.
Marcelo Danubio Zalayeta, un nome e una perplessità da fugare in fretta, il più in fretta possibile, perché quel decennio in gran parte juventino aveva un suo valore specifico e un relativo: giocavano Del Piero e Trezeguet, giocavano Ibrahimovic e Salas, giocavano gli altri e lui incamerava scudetti, due Supercoppe, ma anche quella capacità di dominare le emozioni, paure.
Una scuola di vita importata da Vinovo attraverso Emanuele Blasi, un altro vissuto ai margini della Vecchia Signora però dentro il sistema – e non si equivochi, in questo caso – un altro che aveva assorbito la capacità di misurarsi, di migliorarsi, di affermarsi.
Come ti riformo il Napoli: e fu così che con quattro acquisti, quella squadra capace di vincere in serie B quasi a mani basse – alle spalle della Juventus, of course – scopriva gli atteggiamenti di assumere da assumere anche in serie A, al cospetto di uomini che non avrebbero mai consentito di sgarrare un appoggio, di mancare uno stop, di assentarsi con la testa, perché il problema rischiava di essere lì.
E allora: Walter Gargano, due scudetti, Ezequiell Lavezzi, uno scudetto: affinché s’innestasse il seme, affinché al Napoli germogliasse non il sacro furore ma la sacrosanta abitudine a governar se stessi, dall’alto d’una sensibilità alla vittoria. Zalayeta, il panterone, aveva giocato effettivamente poco, però aveva vinto tanto e aveva attraversato un ambiente sovraccarico di triofi; e pure Blasi, che per due anni s’era addentrato negli stanzoni della Juventus di Capello, pur ritrovandosi senza gratificazioni concrete, aveva afferrato al volo i segreti d’uno spogliatoio abitato da mostri sacri del calcio.
E poi Gargano, e poi Lavezzi, e poi la loro fresca esperienza da vincenti, e poi la contaminazione, la trasmissione diretta…Tutto un altro Napoli, cosi "ingioiellato".
[IMG]Inviato da Mencocco Fabio – Rassegna stampa (corriere dello sport)[/IMG]